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Mostra retrospettiva proveniente dal Centre Pompidou di Parigi
Roma, Museo dell’Ara Pacis 26 settembre 2014 – 25 gennaio 2015
#BressonRoma
“A volte mi chiedono: ‘Qual è la foto che preferisci tra quelle che hai realizzato?’. Non saprei, non mi interessa. Mi interessa di più la mia prossima fotografia, o il prossimo luogo che visiterò.” Henri Cartier-Bresson (Vedere è tutto, Contrasto)
Sarà esposta a Roma dal 26 settembre 2014 al 25 gennaio 2015, presso il Museo dell’Ara Pacis, la mostra retrospettiva Henri Cartier-Bresson a cura di Clément Chéroux.
La grande esposizione, realizzata dal Centre Pompidou di Parigi in collaborazione con la Fondazione Henri Cartier-Bresson, viene presentata a dieci anni esatti dalla morte di Henri Cartier-Bresson. Clément Chéroux è storico della fotografia e curatore presso il Centre Pompidou, Musée national d’art moderne, in passato ha soggiornato a Roma come borsista dell’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici.
Il genio per la composizione, la straordinaria intuizione visiva, la capacità di cogliere al volo i momenti più fugaci come i più insignificanti, fanno di Henri Cartier-Bresson (1908 – 2004) uno dei più grandi fotografi del ventesimo secolo. Nel corso della sua lunga carriera, percorrendo il mondo e posando lo sguardo sui grandi momenti della storia, Cartier-Bresson è riuscito a unire alla potenza della testimonianza la poesia.
Tre periodi scandiscono la sua opera: il primo, dal 1926 al 1935, durante il quale Cartier-Bresson frequenta i surrealisti, compie i primi passi in fotografia e affronta i suoi primi grandi viaggi; il secondo, dal 1936 al 1946, corrisponde al periodo del suo impegno politico, del lavoro per la stampa comunista e all’esperienza del cinema; il terzo periodo, dal 1947 al 1970, va dalla creazione della cooperativa Magnum Photos fino alla fine della sua attività di fotografo. Riduttivo sarebbe dunque individuare nella sola nozione di “istante decisivo” , che per lungo tempo è stata la chiave principale di lettura delle sue immagini, la sintesi del suo lavoro.
Questa retrospettiva ripercorre cronologicamente il suo percorso, con l’ambizione di mostrare che non c’è stato un solo Cartier-Bresson ma diversi.
La mostra propone, infatti, una nuova lettura dell’immenso corpus d’immagini di Cartier-Bresson, coprendo l’intera vita professionale del fotografo. Saranno esposti oltre 500 opere tra fotografie, disegni, dipinti, film e documenti, riunendo le più importanti icone ma anche le immagini meno conosciute del grande maestro: 350 stampe vintage d’epoca, 100 documenti tra cui quotidiani, ritagli di giornali, riviste, libri manoscritti, film, dipinti e disegni.
L’itinerario espositivo offre una doppia visione: rintraccia la storia dei lavori di Cartier-Bresson, per mostrare l’evoluzione del suo cammino artistico in tutta la sua complessità e varietà, e, al tempo stesso, raccoglie e ”rappresenta” la storia del Ventesimo secolo attraverso il suo sguardo di fotografo.
Dal Surrealismo alla Guerra Fredda, dalla Guerra Civile Spagnola alla seconda Guerra Mondiale e alla decolonizzazione, Cartier-Bresson è stato uno dei grandi testimoni della nostra storia; “l’occhio del secolo”, come giustamente è stato definito.
Il percorso espositivo è diviso in nove parti. Dopo una Introduzione, le altre sezioni corrispondono alle diverse fasi della vita e del lavoro di Cartier-Bresson:
1- Prime fotografie: gli anni di apprendistato, i rapporti con gli americani a Parigi, le influenze fotografiche, il viaggio in Africa.
2- Viaggi fotografici: il Surrealismo, il “caso oggettivo”, le peregrinazioni fotografiche in Spagna, Italia, Germania, Polonia e Messico.
3- L’impegno politico: New York con Paul Strand e il Nykino group, Parigi con Jean Renoir e l’Associazione degli artisti e scrittori rivoluzionari (AEAR), la stampa comunista con Robert Capa e Louis Aragon.
4- Le guerre: il film sulla Guerra civile spagnola, l’attività durante la Seconda guerra mondiale (fotografo dell’esercito, prigioniero, fuggiasco, combattente della Resistenza) per documentare il ritorno dei prigionieri.
5- Il reporter: La fondazione dell’Agenzia Magnum Photos, i reportage in Cina e in India, i funerali di Gandhi.
6- Il reporter professionista: Il primo fotogiornalista a entrare in URSS dopo la morte di Stalin. E poi Cuba, “L’Uomo e la Macchina” e la serie Vive la France.
7- La fotografia dopo la fotografia: La fine dei reportage e una fotografia più contemplativa. Ricompare il disegno.
8- Ricognizione: il tempo della ricognizione, la riconsiderazione degli archivi (dai documenti al lavoro), mostre retrospettive e libri. La iconizzazione di Henri Cartier-Bresson.
La mostra è accompagnata da un ampio ed esaustivo catalogo (pubblicato da Contrasto) con saggi di studiosi, esperti e testi inediti di Cartier-Bresson.
Oltre al catalogo, sarà disponibile anche un’agile guida alla mostra.
Museo dell’Ara Pacis, Lungotevere in Augusta, Roma
Apertura al pubblico dal 26 settembre 2014 al 25 gennaio 2015
dal martedì alla domenica ore 9.00 – 19.00 il venerdì e il sabato la mostra è aperta fino alle 22.00
Info Mostra
060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 21.00)
www.arapacis.it, www.museiincomuneroma.it
Twitter: @museiincomune @Contrastobooks #BressonRoma
Facebook: MuseoAraPacis – Contrastobooks
INFO
Biglietto “solo mostra”
€ 11 intero; € 9 ridotto; € 4 speciale scuola ad alunno (ingresso gratuito ad un docente accompagnatore ogni 10 alunni);
€ 22 speciale Famiglie (2 adulti più figli al di sotto dei 18 anni)
Biglietto integrato Museo dell’Ara Pacis + Mostra
€ 18 intero; € 14 ridotto
“No al contratto, no all’accordo su equo compenso e lavoro autonomo”
Un accordo sul lavoro autonomo stipulato tra le parti, sindacato ‘unico’ dei giornalisti (Fnsi) ed editori (Fieg), che diventa legge dello Stato e legalizza lo sfruttamento: 3 mila euro l’anno lordi, 250 al mese. Lo chiamano “equo” compenso, con il placet del governo nella persona del sottosegretario all’Editoria Luca Lotti. Per i giornalisti precari e freelance si tratta di un compenso “iniquo” e di un accordo truffa. E’ stato svenduto il lavoro dei giornalisti, rendendoli più ricattabili, sfruttati e licenziabili. A essere minacciata è la libertà di stampa, baluardo della tenuta democratica delle istituzioni.
Grazie a questo accordo, è legge dello Stato che un giornalista non è sfruttato se: guadagna 20 euro per un articolo di quotidiano (di almeno 1600 battute), 6 euro e 25 per un lancio di agenzia, 250 euro al mese e 3000 euro lorde l’anno per 144 articoli l’anno. Non conta l’argomento, può essere un’inchiesta sulle mafie o l’inaugurazione di un teatro, e nemmeno la testata: “quotidiano” è il Corriere della Sera o l’Eco di Canicattì. E’ legge dello Stato il principio assurdo che più si lavora meno si guadagna: fino a 144 articoli in un anno la paga ‘equa’ è 250 euro al mese, da 145 a 288 articoli è altrettanto ‘equo’ essere pagati il 60% di 250 euro e da 289 a 432 articoli, il 50% di 250. È stato infatti introdotto per legge un ‘riduttore’ dei compensi. Ma se lo sfruttamento legalizzato è chiamato “equo compenso”, il “riduttore” lo definiscono il “moltiplicatore”.
E’ legge dello Stato che si può scrivere più di un articolo al giorno per un giornale (432 articoli l’anno) lavorando come un dipendente, ma senza contratto e senza essere assunti. Come si fa a dire che questo è lavoro autonomo?
L’accordo sul lavoro autonomo apre la strada all’espulsione in massa dei dipendenti dalle redazioni. Perché a parità di quantità e qualità di lavoro svolto, un giornalista autonomo costa cifre ridicole rispetto a un contrattualizzato.
La ratio della legge sull’equo compenso, promulgata a dicembre 2012 era di proteggere i tantissimi giornalisti non assunti, oltre il 60% degli iscritti all’Ordine, dallo sfruttamento. Il compito di stabilire la soglia dell’equo compenso, sotto il quale si configura lo sfruttamento e la perdita dei contributi pubblici all’editoria, spettava alla Commissione governativa presieduta dal sottosegretario Luca Lotti, il presidente Fnsi Giovanni Rossi, il direttore generale Fieg Fabrizio Carotti, il presidente Inpgi Andrea Camporese e il presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino, unico ad avere votato contro. Il risultato raggiunto rende i giornalisti autonomi potenzialmente ancora più poveri.
Questo è un pessimo accordo che stabilisce un pericoloso precedente e lede la dignità di tutti i lavoratori. I giornalisti che lavorano da collaboratori esterni delle redazioni non hanno potuto impedirne l’approvazione. I loro rappresentanti all’interno della Commissione nazionale freelance e della commissione contratto dell’Fnsi non hanno avuto voce in capitolo, se non la possibilità di dissociarsi a cose fatte.
Il paradosso è che siamo giornalisti ma è difficile farci sentire. Le prossime iniziative sono la presentazione di un’interrogazione parlamentare, l’appello per un Referendum vero, da tenersi nelle redazioni e nelle Associazioni, una consultazione trasparente e inclusiva che abbia come platea quelli a cui questo accordo si dovrà applicare.
Appuntamento atteso è la manifestazione “Stop Fnsi” prevista per l’8 luglio alle ore 10, quando i giornalisti in rivolta si ritroveranno sotto la sede del sindacato in corso Vittorio Emanuele a Roma.
Venerdì 16 maggio ore 20:00 Olimpic Club
Lungotevere di Pietra Papa, 2 (Marconi) Torneo di calcio a 5.
8 squadre partecipanti divise in 2 gironi da 4.
Capitano della Squadra dei Fotografi è Fabio Mazzarella.
La famiglia Cerreti sarà presente e premierà i vincitori.
Lo sponsor del torneo e’ il laboratorio Il colore.
I soldi, ricavati dalla quota partecipazione degli atleti e da offerte libere dei colleghi fotografi, saranno devoluti la sera stessa alla famiglia di Danilo.
Finalista nel 2007 al premio Pulitzer, Pier Paolo Cito ha un curriculum di tutto rispetto. Fotoreporter di AP (Associated Press) per molti anni, adesso freelance, Cito ha documentato numerosi conflitti, dalla Bosnia all’Iraq, dall’Afghanistan alla Libia, passando per la striscia di Gaza fino all’Etiopia. Alla fine di maggio terrà il workshop Foto/giornalismo in zone di conflitto, presso l’Institute for Global Studies a Roma.
Lo abbiamo raggiunto per presentarci il Workshop e per raccontarci come si lavora in zone ad altissimo rischio.
Abbiamo trovato un collega cui brillano gli occhi nel raccontare le tante esperienze vissute, la cui vita è iniziata più e più volte, e che tiene in altissima considerazione la formazione dei propri studenti.
Come nasce l’idea, l’esigenza di un workshop come questo Foto/giornalismo in zone di conflitto?
Andando in zone di guerra ad alto rischio e pericolo, mi è capitato di trovare professionisti ma non esperti del settore, che, presi dall’entusiasmo e aiutati dalla tecnologia (un tempo queste zone ad alto rischio erano prerogativa delle grandi agenzie), erano lì ma non sapevano bene cosa stessero facendo: significava perciò mettere in pericolo non solo la loro vita, ma anche quella di chi gli stava intorno, dal driver ai soldati. Questo è il primo motivo per cui ho deciso di tenere il workshop.
In questo ultimo periodo poi, perfino nelle situazioni urbane, che un tempo erano più tranquille, si stanno verificando problemi seri, sia con le forze dell’ordine che con i manifestanti (armati di manganelli). Inizia ad esser problematico, perché diventa una vera e propria situazione di guerriglia.
C’è questo parallelo, nel programma, tra guerra e manifestazioni. Anche chi fa cronaca deve avere la prontezza di capire cosa sta per succedere, la pericolosità degli avvenimenti (una carica delle forze dell’ordine, per esempio).
Il corso è diviso in tre parti. Il primo giorno parlo di come lavorare in situazioni urbane, di guerriglia urbana, il secondo nei veri e propri teatri di guerra e nel terzo i partecipanti sono embedded (portati al seguito) con l’esercito, in modo che possano vedere cosa davvero succede nei teatri di guerra. Nella prima fase, quindi, insegno sia come avere rapporti coi manifestanti (non con le persone che manifestano pacificamente, ma con chi è andato lì con manganelli, caschi e viso coperto e che probabilmente, se si presenta così, vuol dire che qualcosa vuole fare) che con le forze dell’ordine.Quello che cerco di insegnare nel corso è prevedere, per avere poi la possibilità di lavorare nel miglior modo possibile.
La stessa cosa, in maniera più complessa, la insegno il secondo giorno di corso: lavorare nei teatri di guerra, sia da embedded che non (un conto è se segui un esercito di uno stato, un conto è se sei con dei miliziani). Questo è lo scopo del mio corso, che ho poi arricchito anche con immagini ed esempi.
Questa volta poi ci sarà anche una vera e propria esercitazione militare con i paracadutisti della Folgore e con la Croce Rossa Italiana che darà nozioni di primo soccorso in situazioni ad alto rischio. Se, per esempio, ci sono dei cecchini, e sei ferito, nessun professionista verrà ad aiutarti, perché si sa che i cecchini non aspettano altro. Una parte fondamentale del corso è cercare di insegnare a non comportarsi istintivamente. Un esempio è quando scoppia una granata: quando esplode, l’istinto ti dice di correre. Ma se corri verrai probabilmente colpito. L’unica cosa da fare è gettarsi a terra, ma l’istinto ti va contro, e ti dice di correre. Devi gettarti a terra.
Per lavoro hai seguito tantissimi conflitti. Hai trovato differenze tra le guerre? La tecnologia ha cambiato tutto?
Le guerre sono tutte diverse. Ciò che non viene mai detto è che le guerre sono fatte dalle persone. Sembra banale, ma non lo è. È quindi importante sapersi rapportare con le persone. Quando ero in Israele, i soldati avevano cinturato, bloccato, un campo profughi, dove io dovevo/volevo entrare. Un ragazzino di venticinque anni, armato e letale, addestrato a sparare, mi aveva bloccato, come tutte le altre persone. Rimasto lì, abbiamo iniziato a parlare. “Ah, you are italian…beautiful girls!” e poi via col calcio. Quel che è successo è che dopo aver passato una buona mezz’ora a parlare di ragazze, io non ero più “il nemico” e quando gli ho detto che dovevo comunque entrare, sono entrato. Un soldato, dopo aver parlato con te, non ti spara. Bisogna trovare, per svolgere il nostro lavoro, che significa entrare dove trovi chiuso, il modo di comunicare con le persone, ed ovviamente altra cosa importante è il rispetto.
La prima cosa che dico a chi partecipa ai miei corsi è di imparare tutto il possibile su dove si andrà, la cultura e le persone che sono coinvolte: puo’ succedere che ti passi accanto il vice di Hamas e se non sai chi è, il tuo lavoro ne risente. Conoscere un po’ la lingua viene molto apprezzato, e conoscere le usanze puo’ essere utilissimo. Ti faccio un esempio. Se tu sei in una zona da un po’ di tempo, e sai che nella piazza dove abiti o ci passi davanti spesso, c’è il mercato tutti i giorni e i bambini giocano, il giorno in cui non vedi i bambini devi prevedere che qualcosa puo’ succedere. A te, straniero, non viene detto (potresti anche essere una spia). Gli insurgents, chi fa la propria battaglia, non vuole vittime locali, vuole l’appoggio della popolazione, ed avverte la gente del luogo.
La tecnologia poi è cambiata: il satellitare ora è accessibile ma bisogna stare attenti, perché proprio la maggiore accessibilità dei luoghi fa dimenticare che serve una preparazione specifica, l’attenzione e l’addestramento sono importanti. Capire anche il tipo di armi che viene usata è importante, perché ti puoi muovere di conseguenza. Puoi non amare le armi, io non ho nemmeno fatto il militare, ma se vai in un posto dove le stanno usando, devi conoscerle, ne va della tua vita.
Per questo credo che il mio workshop serva: non si puo’ pensare solo a portare a casa una bella immagine, perché il posto fa sì che entrino in gioco altre componenti importanti, come la sicurezza, più importante della foto stessa. Per bilanciare, devi capire il rischio: se muoiono anche i soldati, che sono addestrati, figuriamoci un civile. Otre al fatto che chi è del posto capisce subito se tu sei professionista o meno. Se tu vai e non sei preparato, e non hai esperienza, sarai uno “pericoloso”, per te e per chi ti sta vicino e ti terranno chiuso dentro una stanza o al massimo ti porteranno solo in luoghi molto sicuri dove realizzerai dei servizi come ne trovi tanti, qualcosa come “le suore al Vaticano”. È importante avere conoscenze specifiche perché solo così potrai avere accesso a zone fotograficamente interessanti e realizzare un buon lavoro.
Come scegliere da che parte raccontare?
Ci sono pochi conflitti nel mondo in cui puoi essere quasi contemporaneamente da una parte e dall’altra. Uno di questi è il conflitto israelo-palestinese: un giorno puoi stare da una parte (fotograficamente) e un’ora dopo, dall’altra. Devi sapere che ci sono dei meccanismi psicologici che influenzano: i cattivi sono sempre dall’altra parte se sei sotto colpi di arma da fuoco, e chi sta accanto a te testimonierà contro l’altro, ma un giornalista deve essere cosciente di questo. Ci puoi fare molto poco. L’ideale sarebbe lavorare con entrambi per realizzare un servizio onesto, ma la cosa fondamentale è non parteggiare.
È molto importante considerare la propaganda: in tutte le guerre ogni componente che si scontra fa largo uso di propaganda. In Libia i francesi sono intervenuti per la storia del cimitero, che non era vera, ed è solo un esempio tra tanti, perché l’opinione pubblica si è scossa di fronte a quelle immagini. Anche il fatto che ti si porti a far vedere certe cose rispetto ad altre fa parte della propaganda.
Realizzare un reportage di fronte al dolore degli altri.
Un giornalista dovrebbe comportarsi come un medico in un pronto soccorso. Se arriva una bambina ferita, il medico non si mette a piangere. Tu sei un professionista e devi essere “freddo” e fare il tuo lavoro. Se ti trovi in certe situazioni e non realizzi le immagini per cui sei lì, sei un voyeur. Cio’ non toglie che nel momento in cui finisci di lavorare, allora puoi anche piangere. Ma se piangi e basta la tua presenza è inutile: quando sei sul posto devi reagire.
L’etica poi è importante. Alla classica domanda “se davanti a te qualcuno viene ferito, tu che fai, lo aiuti o lo fotografi?” cerco di applicare un criterio semplicissimo: se sono l’unico che puo’ aiutare in quel momento, aiuto, se ci sono altre persone vicine che possono farlo, fotografo.
Bellezza e morte, bellezza e sofferenza. Come si lavora in certe situazioni?
Io faccio un’altra domanda: qual è l’alternativa? Fare immagini brutte?
Quando è morto mio padre, mi sono chiesto: “e se ora venissero i fotografi?”. Quando mi trovo in queste situazioni chiedo sempre il permesso di lavorare.
Un esempio. In Palestina, in un periodo con molte vittime, sono andato ad un funerale di un giovane. L’attrezzatura chiusa nella borsa, ho chiesto l’autorizzazione al capo. Solo allora sono entrato, e mi sono ritrovato nella stanza con le donne. Ho dato loro le condoglianze, ho spiegato tutto. Ad un certo punto ho sentito i Kalashnikov, segno che la bara stava arrivando dalla morgue. Le donne hanno iniziato a piangere, ed io ho scattato una bella foto, una madonna. Con la bara è arrivato un ragazzo, che appena mi ha visto mi è venuto addosso e mi ha messo la mano al collo. Io sono rimasto fermo, e in meno di un quarto di secondo le donne hanno smesso di piangere e lo hanno accerchiato e allontanato da me. E mi hanno detto: continua a fare il tuo lavoro.
Dalla Puglia a Roma, il Vaticano e i conflitti. Sei l’esempio che anche chi viene da paesi piccoli puo’ realizzarsi con la fotografia.
Chiunque, da un posto piccolo, dovrebbe prendere il meglio. Certo, Roma rimane un punto di riferimento, ma a questo punto perché non New York? Visto che ti devi spostare, pensa in grande! E poi, nel proprio paese, si conoscono i luoghi, le dinamiche e le persone: bisogna fare la gavetta, e poi andare. Anche perché a Roma ci sono molti professionisti, ma sono tanti e la competizione è enorme. Nel proprio paese il rapporto è più conveniente.
Io ho fatto quello che potevo fare a Brindisi, poi sono andato a Roma, in Vaticano e poi in giro per il mondo. Venti anni fa, quando non c’era internet, da Brindisi, ho inviato delle foto al National Geographic, con una lettera, e mi hanno pubblicato. Poi ho iniziato a lavorare con Ap, che dopo un po’ mi ha preso stabilmente, e via.
Ho fatto quello che potevo in Puglia, ho imparato da solo, e ho voluto insegnare quello che avrei voluto sentire io, e che nessuno diceva. Ho sempre insegnato, il primo corso l’ho tenuto 25 anni fa, ed ho continuato: quello che amo è vedere la luce negli occhi di chi impara qualcosa. Le cose che insegno io le ho imparate, e vissute.
Gli effetti psicologici della guerra, come li affronti?
Ho parlato con molti psicologi e loro parlano del debriefing, che è fondamentale (il debriefing è un intervento psicologico-clinico strutturato che si tiene a seguito di un avvenimento potenzialmente traumatico, allo scopo di eliminare o alleviare le conseguenze emotive spesso generate da questo tipo di esperienze -ndr). La mente umana è come un contenitore, più o meno grande. Si possono sopportare un certo numero di cose, che si accumulano, ma poi ci sono situazioni in cui la goccia fa traboccare il vaso: la cosa migliore da fare è parlarne. Comunicare e parlare con chi ti è vicino. Scaricare la tensione raccontando.
Lì la vita ha altri ritmi. Sai bene che il giorno dopo puoi morire.Certe volte penso di aver già vissuto più di una vita: tante cose le racconto solo a chi già c’è stato, perché gli altri non capirebbero davvero. Sapessi il sapore di quel pacchetto di wafers mangiato dopo un pericolo scampato! Quando vivi certe cose, smetti di giocare e di ridere. Non ti vedi più come un fotografo alla James Nachtwey, e hai paura: lì si rischia davvero, e non è un film, chi muore muore davvero. E io ho visto i miei colleghi morti. Anche dire: “vado a fare questa esperienza interessante” è diverso che dire: “vado a morire”. Prova a svegliarti ed avere la sicurezza che potresti morire, non è più “interessante”. Questo è anche ciò che cerco di raccontare nei miei corsi.
Ci sono molte ragazze che frequentano i tuoi corsi? In guerra le donne hanno problemi diversi?
Le ditte che fabbricano giubbotti anti-proiettili li fanno conformati anche per le donne. Ci sono differenze, magari hanno meno forza fisica e reggono meno i pesi, ma per contro hanno accesso in posti che gli uomini non hanno. Anche la visione forse è diversa. Le donne poi reagiscono e se la cavano benissimo, sono toste! Quando ho iniziato a lavorare a livelli internazionali forse la proporzione era del 30%, ora saremo anche al 60%.
Le tue influenze: interne alla fotografia ed esterne.
Ho iniziato guardando Capa, James Nachtwey e ovviamente mi tengo aggiornato seguendo i miei contemporanei. Tra quelle esterne, c’è un uomo davvero grande: Caravaggio!
Più vado avanti e più mi avvicino alla pittura. Tra una settimana terrò un corso a Milano sulla percezione della luce e dell’uso della luce in fotografia. Più studio la luce, più mi avvicino alla pittura. Noi lavoriamo con la luce che c’è, i pittori la creano e sono responsabili di tutto! Eccezionali. È un processo molto più serio ed impegnativo di quello nostro. Noi dobbiamo imparare a vedere la realtà: non è la tecnica, è l’occhio!
World Press Photo dell’anno 2013 John Stanmeyer, USA, VII per National Geographic – 26 febbraio 2013, Gibuti City, Gibuti. Migranti africani sulla spiaggia di Gibuti di notte, con i telefonini in aria, tentano di captare la rete, più economica, dalla vicina Somalia, un flebile legame con le famiglie all’estero. Gibuti è una tappa usuale per i migranti in transito da paesi come Somalia, Etiopia ed Eritrea alla ricerca di una vita migliore in Europa o in Medio Oriente.
Primo Premio Notizie Generali Foto Singole Alessandro Penso, Italia, OnOff Picture – 21 novembre 2013, Sofia, Bulgaria
Secondo Premio Notizie Generali Reportage William Daniels, Francia, Panos Pictures perTime 17 novembre 2013, Repubblica Centraficana
Primo Premio Spot News Foto Singole Phillipe Lopez, Francia, Agence France-Presse – 18 November 2013, Tolosa, the Philippines
Primo Premio Spot News Reportage Goran Tomasevic, Serbia, Reuters 30 gennaio 2013, Damasco, Siria
Secondo Premio Spot News Reportage Tyler Hicks, USA, The New York Times 21 settembre 2013, Nairobi, Kenya
Terzo Premio Storie d’attualità Foto singole Christopher Vanegas, Messico, La Vanguardia / El Guardían 08 marzo 2013, Saltillo, Coahuila, Messico
Primo Premio Storie d’attualità Reportage Sara Naomi Lewkowicz, USA, perTime 17 novembre 2012, USA
Primo Premio Vita Quotidiana Foto singole Julius Schrank, Germania, De Volkskrant 15 marzo 2013, Burma
Primo Premio Vita quotidiana Reportage Fred Ramos, El Salvador, El Faro 10 agosto 2013, San Salvador, El Salvador
Secondo Premio Sport in azione Foto singole Andrzej Grygiel, Polonia, per PAP-Polska Agencja Prasowa 24 marzo 2013, Szczyrk, Polonia
Terzo Premio Sport in azione Reportage Quinn Rooney, Australia, Getty Images 27 aprile 2013, Adelaide, Australia
Primo Premio Sports in primo piano Reportage Peter Holgersson, Svezia 19 dicembre 2013, Lidingö, Svezia
Primo Premio Ritratti in presa diretta Foto singole Markus Schreiber, Germania, The Associated Press 13 dicembre 2013, Pretoria, Sud Africa
Primo Premio Volti. Ritratti in presa diretta Reportage Carla Kogelman, Paesi Bassi 19 luglio 2012, Merkenbrechts, Austria
Primo Premio Ritratti in posa Foto singole Brent Stirton, Sud Africa, Reportage by Getty Images 25 settembre 2013, West Bengal India
Secondo Premio Ritratti in posa Reportage Denis Dailleux, Francia, Agence Vu 03 febbraio 2011, Cairo, Egitto
Terzo Premio Natura Reportage Christian Ziegler, Germania, perNational Geographic Magazine 25 gennaio 2011, Congo
Primo Premio Natura Reportage Steve Winter, USA, per National Geographic 02 marzo 2013, Los Angeles, USA
Primo premio Natura Foto Singole Bruno D’Amicis, Italia per National Geographic 22 aprile 2013, Kebili, Tunisia
Terzo premio Notizie generali Reportage Gianluca Panella, Italia 10 dicembre 2013, Gaza City, Gaza
Torna a Roma, al Museo di Roma in Trastevere, il consueto appuntamento con il World Press Photo, il prestigioso premio di Fotogiornalismo internazionale.
La mostra rimarrà a Roma dal 2 al 23 maggio.
Il Premio World Press Photo è uno dei più importanti riconoscimenti nell’ambito del Fotogiornalismo. Ogni anno, da 57 anni, una giuria indipendente, formata da esperti internazionali, è chiamata a esprimersi su migliaia di domande di partecipazione provenienti da tutto il mondo, inviate alla World Press Photo Foundation di Amsterdam da fotogiornalisti, agenzie, quotidiani e riviste.
Tutta la produzione internazionale viene esaminata e le foto premiate, che costituiscono la mostra, sono pubblicate nel libro che l’accompagna.
Per questa edizione, le immagini sottoposte alla giuria del concorso World Press Photo sono state 98.671, inviate da 5.754 fotografi professionisti di 132 diverse nazionalità.
Anche quest’anno la giuria ha diviso i lavori in nove diverse categorie: Spot News, Notizie Generali, Storie d’attualità, Vita quotidiana, Volti (Ritratti in presa diretta e Ritratti in posa), Natura, Sport in azione e Sport in primo piano.
Sono stati premiati 53 fotografi di 25 diverse nazionalità: Argentina, Australia, Azerbaijan, Bangladesh, Bulgaria, Cina, Repubblica Ceca, El Salvador, Finlandia, Francia, Germania, Iran, Italia, Giordania, Messico, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Polonia, Russia, Serbia, Sud Africa, Spagna, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti.
La Foto dell’anno 2013 è dell’americano John Stanmeyer di VII Photo Agency. L’immagine mostra dei migranti africani con i cellulari sulla spiaggia di Gibuti nel tentativo di prendere un segnale telefonico gratuito dalla confinante Somalia, un collegamento con i parenti lontani. Gibuti è una tappa consueta per i migranti in transito da paesi come la Somalia, l’Etiopia e l’Eritrea, in cerca di una vita migliore in Europa e in Medio Oriente. La foto è anche vincitrice del Primo Premio nella categoria Storie di attualità ed è stata realizzata per il National Geographic.
Quest’anno sono tre i fotografi italiani premiati: Bruno D’Amicis, nella categoria Foto Singole Natura, Alessandro Penso, per Foto Singole in Notizie Generali e Gianluca Panella per Reportage in Notizie Generali.
Di seguito tutti i vincitori.
John Stanmeyer – WORLD PRESS PHOTO DELL’ANNO 2013
STORIE D’ATTUALITÀ
FOTO SINGOLE
1° premio / John Stanmeyer
2° premio / Maciek Nabrdalik
3° premio / Christopher Vanegas
REPORTAGE
1° premio / Sara naomi Lewkowicz
2° premio / Robin Hammond
3° premio / Marcus Bleasdale
VITA QUOTIDIANA
FOTO SINGOLE
1° premio / Julius Schrank
2° premio / Andrea Bruce
3° premio / Julie McGuire
REPORTAGE
1° premio / Fred Ramos
2° premio / Tanya Habjouqa
3° premio / Elena Chernyshova
NOTIZIE GENERALI
FOTO SINGOLE
1° premio / Alessandro Penso
2° premio / Moises Saman
3° premio / Amir Pourmand
REPORTAGE
1° premio / Chris McGrath
2° premio / William Daniels
3° premio / Gianluca Panella
SPOT NEWS
FOTO SINGOLE
1° premio / Philippe Lopez
2° premio / John Tlumacki
3° premio / Taslima Akhter
REPORTAGE
1° premio / Goran Tomasevic
2° premio / Tyler Hicks
3° premio / Rahul Talukder
VOLTI RITRATTI IN PRESA DIRETTA
FOTO SINGOLE
1° premio / Markus Schreiber
2° premio / Rena Effendi
3° premio / Pau Barrena
REPORTAGE
1° premio / Carla Kogelman
2° premio / Peter van Agtmael
3° premio / Rena Effendi
VOLTI RITRATTI IN POSA
FOTO SINGOLE
1° premio / Brent Stirton
2° premio / Abbie Trayler-Smith
3° premio / nadav Kander
REPORTAGE
1° premio / Danila Tkachenko
2° premio / Denis dailleux
3° premio / Nikita Shokhov
NATURA
FOTO SINGOLE
1° premio / Bruno d’Amicis
2° premio / Markus Varesvuo
3° premio / Shangzhen Fan
REPORTAGE
1° premio / Steve Winter
2° premio / Kacper Kowalski
3° premio / christian Ziegler
SPORT IN AZIONE
FOTO SINGOLE
1° premio / Emiliano Lasalvia
2° premio / Andrzej Grygiel
3° premio / Al Bello
REPORTAGE
1° premio / Jia Guorong
2° premio / Ezra Shaw
3° premio / Quinn Rooney
SPORT IN PRIMO PIANO
FOTO SINGOLE
1° premio / Jeff Pachoud
2° premio / Anastas Tarpanov
3° premio / Donald Miralle
REPORTAGE
1° premio / Peter Holgersson
2° premio / Kunrong chen
3° premio / Alyssa Schukar
Info Mostra:
Museo di Roma in Trastevere, Piazza Sant’Egidio 1B
martedi-domenica 10.00-20.00
2-23 Maggio 2014 museodiromaintrastevere.it
La FPA Fotoreporter Professionisti Associati è lieta di indire il primo Contest Fotografico “Fotoreporter@Work”, riservato a tutti i fotoreporter professionisti.
Il tema del contest è “Fotoreporter@Work. Il lavoro quotidiano del fotoreporter. Il racconto di una notizia attraverso un singolo scatto”.
I fotoreporter possono partecipare con massimo due immagini a testa.
La premiazione avverrà durante il party organizzato dalla FPA presso Visiva – La città dell’immagine, il 22 Marzo 2014. Maggiori informazioni sull’evento saranno messe online a breve.
Le prime tre foto classificate saranno stampate, esposte a Visiva e consegnate ai fotoreporter alla fine del party.
Cari colleghi,
la corsa al ribasso del prezzo delle fotografie e il crescente numero degli editori che pagano in ritardo o spesso non pagano affatto stanno dando il colpo di grazia a questa professione.
A Milano le agenzie fotografiche (tutte anche le maggiori) si riuniscono per trovare una strategia comune. Chiedono a noi fotografi di partecipare.
E’ importante incontrarsi tra noi fotografi e stabilire una strategia comune, verso gli editori si, ma cogliamo l’occasione per aprire un tavolo di trattative con le agenzie fotografiche.
Divulgate e partecipate tutti
L’INVITO all’incontro che è APERTO A TUTTI I FOTOREPORTER indipendentemente se associati, la FPA si fa solo da intermediario per organizzare l’assemblea.
Carissimi colleghi,
la FPA Fotoreporter Professionisti Associati partecipa ai Photographers Dayspresso Visiva – La città dell’immagine in via Assisi 117 a Roma!
Qui sotto gli eventi organizzati dai Photographers Days nei giorni in cui saremo presenti con uno stand.
Vi aspettiamo!
Venerdi 25 dalle 19,00 alle 22,00seminario di TAU Visual – Associazione Italiana Fotografi Professionisti tenuto da Roberto Tomesani, sui temi “Professione Fotografo, concreti spunti di differenziazione” e “Arte e fotografia: incontro di due realtà”; ricordiamo che Sabato 26 Ottobre Tau Visual sarà presente alla manifestazione con un desk di assistenza e consulenza personale per i professionisti presenti. In contemporanea e con la supervisione di Autori Bestsellersdi Fotolia negli spazi Studio saranno disponibili per gli iscritti con card blueo superiore i Model Sharing Fotolia, come nel precedente Venerdi 20.
Sabato 26 ottobre viene proposto il primo dei due “Festival a Confronto”, l’iniziativa studiata da Gigliola Foschi che porterà curatori di Festival a confronto. Tra le 10,00 e le 13,00 Enrico Stefanelli di Photo LuxeMarco Delogu in rappresentanza del Festival Internazionale di Roma discuteranno con Gigliola Foschi.
Al pomeriggio dalle 15,00 in poi letture/selezioni Progetti Fotografici Pro effettuate dai curatori in slot da 15 minuti, a prenotazione obbligatoria per le card da blue in su. Sabato pomeriggio tra le 16,00 e le 18,00 grande shooting show pubblico di Maurizio Galimberti con la sua musa Arianna Grimoldi, con presentazione del loro nuovo progetto autoriale, preceduto tra le 15,00 e le 16,00 da distribuzione di copie a costo ridotto e book sign dell’ultimo libro di Maurizio Galimberti “Paesaggio Italia”.
Subito dopo, tra le 18,00 e le 20,00 Seminario pubblico di Fabrizio Pivari “Il mondo visto da lassù e dall’altezza che preferisco”, tecnologie e comunicazione per una nuova promozione.
Sabato pomeriggio tra le 15,00 e le 19,00 vi sarà anche il primo dei due workshop Pro sui Grandi Maestri tenuto da Massimo Ciampa, Ad di Visiva: dedicato a Helmut Newton consiste in studio e produzione di un’opera nello stile del Maestro ed è riservato ad un numero ristretto di partecipanti.
Sabato per tutto il giorno inoltre altre due session giornaliere di Personal Photographers (Food, coachFloriano Formoso ed Eleonora Vasco – still-life, oggettistica, coach Marco Pasqua)
Domenica 27 ottobretra le 10,30 e le 13,00 seconda tavola rotonda di “Festival a Confronto” con Gigliola foschi, Walter Liva di Spilimbergo Fotografia e Miha Colner del Ljubljana Festival con letture/selezioni progetti fotografici al pomeriggio. Tra le 10,00 e le 13,00 Maurizio Galimberti terrà un workshop riservato a pochi fortunati partecipanti.
Al pomeriggio tra le 15,00 e le 18,00 un seminario pubblico sul tema “Fotoreporter ed Editoria, professione e scenari futuri” con Marco Toldi e Anna Schiavone di Obiettivo Reporter tra le 15,00 e le 19,00secondo workshop sui Grandi Maestri tenuto da Massimo Ciampa dedicato a Joyce Tennyson, mentre alla sera alle 19,00 vi sarà l’opening della mostra “Roma la Bella” con le trenta immagini selezionate dalla Maratona Fotografica.
Sempre Domenica infine altre tre session giornaliere di Personal Photographers (ritratto, coach Roberto Gabriele – Food, coach Floriano Formoso ed Eleonora Vasco – still-life, oggettistica, coach Marco Pasqua)