Robert Capa in Italia 1943 -1944
Una selezione di 78 fotografie saranno ospitate dal 3 ottobre 2013 al 6 gennaio 2014 nel Museo di Roma Palazzo Braschi nella mostra “Robert Capa in Italia 1943 – 1944”.
Ideata dal Museo Nazionale Ungherese di Budapest e Fratelli Alinari, Fondazione per la Storia della Fotografia, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali in collaborazione con il Museo Nazionale Ungherese di Budapest, il Ministero delle Risorse Umane d’Ungheria, il Fondo Nazionale Culturale, l’Istituto Balassi – Accademia d’Ungheria a Roma e l’Ambasciata di Ungheria a Roma. L’organizzazione è di Zètema Progetto Cultura e la cura di Beatrix Lengyel.
Una mostra – la cui tappa successiva sarà Firenze presso il MNAF Museo Nazionale Alinari della Fotografia dal 10 gennaio al 30 marzo 2014 – organizzata in occasione dell’Anno Culturale Ungheria Italia 2013 che coincide con il centenario della nascita di questo grande maestro della fotografia del XX secolo (1913–1954) e che racconta con scatti in bianco e nero il settantesimo anniversario dello sbarco degli Alleati. Esiliato dall’Ungheria nel 1931, inizia la sua attività di fotoreporter a Berlino e diventa famoso per le sue fotografie scattate durante la guerra civile spagnola dal 1936 al 1939. Quando arriva in Italia come corrispondente di guerra, ritrae la vita dei soldati e dei civili, dallo sbarco in Sicilia fino ad Anzio: un viaggio fotografico, con scatti che vanno da luglio 1943 a febbraio 1944 per rivelare, con un’umanità priva di retorica, le tante facce della guerra spingendosi fin dentro il cuore del conflitto.
Le immagini colpiscono ancora oggi per la loro immediatezza e per l’empatia che scatenano in chi le guarda. Lo spiega perfettamente John Steinbeck in occasione della pubblicazione commemorativa di alcune foto di Robert Capa “Capa sapeva cosa cercare e cosa farne dopo averlo trovato. Sapeva, ad esempio, che non si può ritrarre la guerra, perché è soprattutto un’emozione. Ma lui è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino.”
Ed è così che Capa racconta la resa di Palermo, la distruzione della posta centrale di Napoli o il funerale delle giovanissime vittime delle Quattro Giornate di Napoli. E ancora, vicino a Montecassino, la gente che fugge dalle montagne dove infuriano i combattimenti. E i soldati alleati, accolti a Monreale dalla gente, o in perlustrazione in campi opachi di fumo.
Settantotto fotografie nelle quali l’obiettivo di Capa mostra una guerra subita dalla gente comune, piccoli paesi uguali in tutto il mondo ridotti in macerie, soldati e civili vittime della stessa strage.
Così Ernest Hemingway, nel ricordare la scomparsa, descrive il fotografo: ”Ѐ stato un buon amico e un grande e coraggiosissimo fotografo. Era talmente vivo che uno deve mettercela tutta per pensarlo morto.”
Foto, famose in tutto il mondo, che raccontano a modo loro la vita.
Di seguito la presentazione della mostra nelle parole della curatrice Beatrix Lengyel
ROBERT CAPA IN ITALIA
Robert Capa è uno dei più grandi fotografi del XX secolo,
se non addirittura di tutti i tempiUn corrispondente di guerra dotato di tutte le qualità indispensabili al giornalista di grande professionalità: la tenacia, la necessaria aggressività nel raggiungere il cuore degli avvenimenti, l’inventiva, le eccellenti capacità relazionali. A queste si aggiungevano le doti di un grande artista: forte sensibilità, capacità di riconoscere e scegliere temi, senso della composizione. Nonostante conoscesse la paura, fu con coraggio impegnato in tutti i più importanti scenari bellici attorno alla metà del XX secolo, avendo sempre ben presente l’eterno dilemma del giornalista e del fotoreporter: esserci per richiamare l’attenzione del mondo sul dolore, senza però poter personalmente aiutare gli afflitti. Robert Capa svolse la propria professione con la massima intensità, rendendo quel costante conflitto interiore uno strumento nello sforzo di mostrare sempre ciò che veramente ritenesse importante.
Mai nessun altro vi è riuscito completamente, perché nessuno mai si è trovato abbastanza vicino alla scena, come peraltro lui stesso ebbe a confessare: «Se le tue fotografie non sono all’altezza, non eri abbastanza vicino». Era vicino alla morte del miliziano, era nel mezzo del bagno di sangue dei primi a sbarcare in Normandia, e, naturalmente, anche nel mezzo della guerra d’Indocina, dove calpestò la mina fatale. Visse una vita intensa, passionale, vorace nel desiderio di ottenere tutto, fu campione dell’azzardo. Una vita in cui non potevano trovare posto figli, una vita fatta di solitudine, una vita da apolide, la cui fine era forse già stata scritta dal destino. Probabilmente questo era l’unico modo per vivere e mostrare al tempo stesso tutto ciò che lo circondava.
Le fotografie di Robert Capa sono impresse nella memoria collettiva come piccoli frammenti del XX secolo. Sono tessere di un simbolico mosaico degli istanti che separano vita e morte e delle atrocità delle cinque guerre di cui fu testimone. Grazie alla delicatezza, all’umanità, alla spontaneità e alla sensibilità dei suoi scatti, generazioni di fotografi hanno compreso come sia possibile immortalare i dimenticati e gli ultimi nell’intimità degli attimi di cui si compone una vita, siano essi attimi di commozione, sollievo, terrore o felicità.
Beatrix Lengyel
Curatrice della mostra, Museo Nazionale Ungherese