[text_box title=””]“In questi giorni irreali ma con il sole che scalda un pò il mio cuore, voglio essere utile al mio Papo che sorrideva sempre come me. Spero di mantenere viva l’attenzione su questo terribile fatto che ha travolto la mia famiglia. Stiamo cercando TESTIMONI che ci possano aiutare a chiarire una dinamica che non ha ancora una spiegazione. Confido nel vostro affetto e aiuto, potete copiare, incollare e CONDIVIDERE le informazioni che trovate qua sotto per aiutarci a cercare qualcuno che magari ha visto qualcosa quel giorno ( anche la più banale ). Grazie per tutto l’affetto che ho ricevuto finora. Spero che i social network siano così efficaci anche per questi avvenimenti”. Arianna [/text_box]
Danilo Cerreti ci ha lasciati il giorno 25-01-2013 alle ore 14,00 circa, in un incidente su uno scooter (sportcity Aprilia, grigio chiaro) avvenuto all’inizio della via Cristoforo Colombo presso gli archi delle antiche mura.
La FPA tutta si stringe intorno alla famiglia del collega ed amico Danilo.
Per chi volesse contribuire ad un aiuto alla famiglia di Danilo è stato predisposto un conto bancario intestato alla figlia: Arianna Cerreti IBAN IT70S0306905102100000000246
1 Memorial Danilo Cerreti
Roma e Lazio si incontrano al 1° Memorial Danilo Cerreti
Ex giocatori delle due squadre al torneo di calcetto dedicato al fotografo scomparso
A Roma si continua a respirare aria di derby e, dopo la sfida dell’Olimpico, Roma e Lazio si ritrovano al FutbolClub. A sfidarsi, questa volta, gli ex giocatori delle due squadre, in campo per onorare la memoria di Danilo Cerreti, fotografo di spettacolo e televisione scomparso a fine gennaio.
L’appuntamento è per sabato 13 aprile alle 10.00 in viale degli Olimpionici in occasione della prima edizione del Memorial Danilo Cerreti. Madrina della giornata Alessia Marcuzzi che alle 10.30 darà il calcio d’inizio del torneo di calcetto al quale parteciperanno otto squadre in una sfida all’insegna del divertimento e del fair play. Dai magistrati, agli ex calciatori di Roma e Lazio (Bruno Giordano, Giuseppe Giannini, Abel Balbo), dai fotografi ai ragazzi del Grande Fratello, tutti insieme per ricordare un professionista, un amico, un collega.
Queste le 8 squadre presenti: Ex calciatori Lazio, Ex calciatori Roma, Nazionale Magistrati, Futbol Club, Grande Fratello, Paparazzi, Falchi Fotografi, Butterfly amici Danilo.
Tante le stelle che interverranno sul green carpet del Futbol: da Bonolis a Frizzi, da Liorni e Tiberio Timperi e ancora Giletti, Roberto Ciufoli, Pino Insegno, Angela Melillo, Max Giusti, il Trio Medusa, Manila Nazzaro, Arianna David, Eva Henger, Samantha de Grenet, Stefania Orlando.
Alla squadra vincitrice di questa prima edizione andrà una targa intitolata a Danilo Cerreti.
Sport, passione per il calcio e spettacolo si fondono in un evento per onorare Danilo e esprimere solidarietà alla famiglia. Tutto il ricavato sarà destinato alla famiglia di Danilo Cerreti.
Ovvero, l’intervista ad Alessandro Di Meo diventa l’occasione per parlare della professione del fotogiornalista
Una foto che in poco tempo fa il giro del mondo, quella scattata da Alessandro Di Meo, free-lance collaboratore dell’Ansa. Una foto-icona, finita sulla maggior parte dei media mondiali. Una di quelle che raccontano, quasi senza bisogno di spiegazioni, un avvenimento mediatico di portata mondiale, le “dimissioni” del Papa dal suo incarico: un vero e proprio fulmine a ciel sereno.
A dir la verità, di sereno quel giorno c’era ben poco. A Roma nuvole nere si sono radunate sul cielo della città e nel giro di poco è iniziato a piovere.
E sotto la pioggia Alessandro Di Meo è rimasto fermo, in attesa. Il fotogiornalismo puo’ essere snervante: ore di attesa per una foto, esposti alle intemperie del clima o alle esigenze (in ordine sparso ed incompleto) degli editori, dei clienti, degli uffici stampa, dei “personaggi”, dei tempi televisivi, della gente comune, del traffico, eccetera. Ma regala enormi soddisfazioni, come in questo caso, quando il tuo scatto fa il giro del mondo e viene riconosciuto come icona. “Il fotogiornalismo, ci dice Alessandro Di Meo, che abbiamo raggiunto telefonicamente, è una delle professioni più ambite perché si pensa che basti avere una macchina fotografica al collo e scattare. In realtà il fotografo passa la maggior parte del tempo ad aspettare. Non a casa sul divano, ma in giro, per strada, al freddo o al caldo, sotto l’acqua. Io ieri sono stato a fare un servizio di mattina, poi son tornato, ho spedito le foto, mi hanno chiamato e sono andato a San Pietro. Ho passato la giornata per strada”.
“Mi trovavo sotto al colonnato, vicino all’edicola, in attesa dell’uscita dell’edizione speciale dell’Osservatore Romano. Mentre stavo aspettando ho pensato – e detto ad un collega- ‘se viene il temporale voglio fare le foto a San Pietro coi fulmini’. Ho cercato di riprendere la Basilica e gli appartamenti del Papa, così mi son spostato sotto al colonnato. Poi è arrivata la pioggia, molta, e son rimasto a combattere contro tutte le difficoltà tecniche che nascono dal voler fare una foto così. Ma sono stato ripagato” ha raccontato. Non il caso quindi, ma l’intenzione, ha fatto sì che si creasse l’occasione giusta. Quella stessa intenzione, o intuizione, che solo un fotogiornalista puo’ pensare nel giro di pochi minuti quando si trova a dover raccontare un accadimento di interesse giornalistico.
Sui giornali siamo poi abituati a vedere immagini “anonime”, senza firma (al massimo l’agenzia).
“Alessandro Di Meo sono io, si può vedere chi sono, la mia agenzia non ha bisogno di descrizione (Ansa), e se io ho fornito tutti i dati possibili per accertare che la foto sia vera, è vera. Sono dieci anni che faccio il fotografo, ho ventinove anni di mutuo sulle spalle, e non avrei alcun interesse a mettere una foto finta: le bugie hanno le gambe corte, sarebbe la fine della mia carriera di fotografo, e non è quello che voglio” continua a raccontare Alessandro.
“Il nome va inserito sempre, il problema è che sui giornali non lo mettono mai (in Italia, ndr). La firma della fotografia è fondamentale. Come il giornalista si assume la responsabilità di quello che scrive, così il fotografo. Non siamo giornalisti di serie B. L’autorevolezza passa attraverso la firma, che è un riconoscimento: rivela la fonte. Nel caso specifico, ho fatto tante foto che sono uscite sui giornali, e anche questo potrebbe far pensare che io sia bravo e che non abbia interesse a realizzare falsi”.
Abbiamo colto l’occasione di questo “caso mediatico” per mettere in luce alcuni dei problemi che ruotano intorno alla professione del fotogiornalista. Condizioni di lavoro difficili, compensi molto più bassi rispetto a qualche anno fa e un atteggiamento delle testate nazionali, poi, che non aiuta: gli editori riconoscono il valore della professione solo sfruttando le immagini, dandogli spesso il giusto valore di grandezza sulla pagina del giornale, ma non riconoscendone l’autore gran parte del lavoro diventa vano. La funzione specifica del fotogiornalismo è quella del racconto visuale di un fatto, ed eliminandone l’autore si creano le condizioni per un approccio dell’opinione pubblica sempre più disincantato e poco disposto a “credere” a quello che vede. L’autorevolezza così non è riconosciuta affatto: su internet si son sperticati a trovare gli indizi che la foto in questione fosse un falso, si sono anche scomodati ricercatori del CNR (forse la mossa giusta per ogni possibile smentita) quando sarebbe bastato vedere il lavoro svolto dal fotografo e non mettere in discussione la sua professionalità. La bufala può essere dietro l’angolo ma non sarà realizzata da un fotogiornalista che ha cara la propria professione e la sua credibilità.
Questa favolosa immagine del nostro associato Evandro Inetti è stata scelta come copertina del Time. Un meritato encomio a sancire il lavoro di un bravo professionista che ha dedicato al Vaticano e a Papa Benedetto XVI molte ore del suo lavoro di fotoreporter.
Ph. Francesco Sforza/Osservatore romano
L’Intervista
Abbiamo chiesto ad Evandro Inetti come nasce una fotografia così. Di seguito le sue risposte.
Come nasce l’immagine, l’occasione
Era l’ultima udienza di gennaio. Le udienze hanno uno svolgimento standard, cosa che non permette di avere una grande creatività. Quella è una foto nata con un gioco di luce e buio, con ombre abbastanza fitte. Il Papa usciva dalla penombra. E’ un tipo di foto che io ho fatto molte volte, non è stata casuale. E’ una foto cercata, forse un po’ drammatica. Il problema di certi scatti è che potrebbero sembrare irrispettosi, e non vengono nemmeno mandati all’agenzia: è il Papa, non un personaggio qualunque, ci sono rispetto, professionalità ed etica che vanno sempre tenute alte quando si lavora con una figura così importante.
Quest’etica è più forte rispetto ad un servizio politico
A volte ci sono immagini che non si scattano, o se si scattano non si danno: possono essere offensive, ironiche, buffe. Ma non è censura, è attenzione.
Questa foto è allusiva
Potrebbe. Potrebbe essere anche letta solo come una bella foto.
L’emozione di vedere una tua foto sulla copertina del TIME?
Bella grande! E’ orgoglio professionale, è il motivo per cui uno fa questo lavoro, avere la massima visibilità possibile. Il Time non è un giornaletto!
La tua esperienza con Papa Benedetto XVI?
Lo seguo da quando è stato eletto. E’ un’esperienza di anni, era un papa poco mediatico, i suoi gesti sono molto controllati, e quindi difficile. Con Wojtyla si avevano atteggiamenti più teatrali, con Benedetto bisogna cercare il gesto.
La tua professione: come hai iniziato?
Io ho studiato cinema. Non ho fatto scuole di fotografia, ma il centro sperimentale, sceneggiatura! Dal punto di vista tecnico sono un autodidatta.
Come si sta evolvendo la professione?
La professione la vedo “complicata”. La tecnologia sta aiutando tanto, ma allo stesso tempo sta facendo pensare a chi non è fotografo e non lo sarà mai, di essere fotografo. Essere fotografo non vuol dire alzare un telefonino e scattare. Ci vuole una consapevolezza del proprio lavoro: non è solo tecnica o attrezzatura.
Cosa diresti a chi vuole iniziare la professione?
Di studiare molto! Di studiare la storia dell’arte, il cinema, il lavoro degli altri: io continuo ad imparare ogni giorno. La nostra professione ha molto a che vedere con la bellezza e con l’arte, non è solo tecnica, vale anche per le foto giornalistiche. L’immagine giornalistica non è solo informazione, è un’informazione ma sopra e sotto ha altri livelli, sempre.
Fotogiornalismo: una professione in via d’estinzione
In attesa che escano gli atti ufficiali del convegno A.I.R.F. Associazione Italiana Reporter Fotografi che si è tenuto a Roma lo scorso 23 Ottobre 2012, dal titolo “Fotoreporter: una professione in via d’estinzione”, ecco per voi un piccolo report dell’incontro.
Hanno partecipato Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei Giornalisti Nazionale, il presidente e i consiglieri A.I.R.F. Mario Rebeschini, Pasquale Spinelli e Alessandro Ruggeri, il consigliere nazionale dell’ODG e fotoreporter Mario De Renzis, il presidente di Fotografia & Informazione Marco Capovilla e la nostra Presidente della FPA Fotoreporter Professionisti Associati Elisabetta Villa.
Dopo l’apertura affidata ad Alessandro Ruggeri, che ha fatto il “riassunto delle puntate precedenti”, cioè ha raccontato cosa era uscito dal precedente convegno A.I.R.F., Marco Capovilla di Fotografia & Informazione ha elencato una serie di domande rivolte all’Ordine, sincerandosi se l’OdG avesse capito l’urgenza e la gravità della situazione. Se infatti nei dizionari italiani la parola “Fotogiornalismo” è apparsa solo nel 1983, quarant’anni dopo la nascita della professione (anche il programma di scrittura segnala errata la parola, n.d.r.), siamo fermi comunque a quegli anni come “importanza data alle fotografie” di news. Dal convegno del 1981 “L’informazione negata” sono passati 31 anni eppure nulla sembra essere cambiato, ci racconta, mentre negli altri paesi le cose si sono risolte una volta proposti problema e soluzione. Le associazioni di fotografia, poi, come A.I.R.F., Fotografia & Informazione e FPA non hanno mai comunicato molto, e bisognerebbe iniziare a fare rete, come tutti noi speriamo. Se la fotografia in Italia è così poco considerata, soprattutto dagli editori, in fondo è dovuto al fatto che la cultura fotografica non ha mai fatto parte della cultura italiana, e non bisogna allora meravigliarsi che i fotogiornalisti rimasti nel paese siano pochi. Prendendo Libération come esempio, possiamo vedere che più che verso l’immagine singola (come nella realtà editoriale italiana) è verso il racconto fotografico (il reportage) che si concentrano gli sforzi della testata, perché il lettore deve essere informato dalle immagini.
Elisabetta Villa, presidente della FPA, ha iniziato il suo intervento affermando invece che il fotogiornalismo non è morto, ma malato. L’importante è unirci, creare una rete a livello nazionale tra le associazioni che coinvolgano anche i colleghi non iscritti, perché un disegno di legge valido c’è, ma bisogna portarlo alla ribalta. Una maggiore coesione aiuta a lavorare meglio negli eventi, come la FPA è riuscita a realizzare stabilendo ottimi rapporti con gli uffici stampa di Roma, che prima di un evento importante si consultano con i colleghi interessati per stabilire l’organizzazione dei photocall e le luci adatte. Una tessera riconosciuta che valga anche all’estero sarebbe poi un modo per lavorare meglio, senza contare i problemi legati ai pagamenti ed ai rendiconti delle agenzie che non sono controllati da nessun organo e che non vengono presi in considerazione per l’iscrizione all’OdG.. Molto spesso sono proprio i colleghi che collaborano con le agenzie italiane (tranne qualche raro caso) a dover subire più di tutti la mancanza di tutele adeguate. E’ quindi importante capire l’opinione che l’OdG ha sul fotogiornalismo.
Se per Mario De Renzis le fotografie, sui giornali, sembrano un semplice rumore di fondo, ed è di vitale importanza, oggi, fare i conti con l’informazione digitale, per Marco Capovilla i fotoreporter italiani hanno mancato l’appuntamento con la multimedialità. Ci sono dei vuoti culturali da colmare, come per esempio tutto il discorso legato ai tablet ed alla fruizione di una fotografia retroilluminata e alle differenze intrinseche rispetto a quella stampata. Altra grande questione è stata quella legata alla professione del photoeditor ed al fatto appurato che troppo spesso i giornalisti non sanno scegliere le immagini. Servirebbero dei corsi d’aggiornamento continui, inserendo ore di ‘educazione all’immagine’ nelle accademie che formano i futuri redattori e direttori delle testate. E magari, continua Capovilla, una scuola d’eccellenza che insegni il giornalismo visivo: l’Italia è un paese di “fotoanalfabeti”.
Enzo Iacopino dunque si è trovato sul tavolo non solo proposte, ma anche giuste obiezioni da parte dei colleghi presidenti di associazioni. Su una questione è stato molto chiaro: non ci sono differenze tra i giornalisti e i fotogiornalisti. La creazione di un albo speciale farebbe decadere i diritti che hanno gli altri giornalisti, quindi non si dovrebbe richiedere un ulteriore elenco oltre ai già esistenti pubblicisti e professionisti. Tutto ciò che l’OdG potrà fare, nel rispetto delle leggi, cercherà di farlo.
Tra i colleghi che hanno partecipato alla discussione, da segnalare l’intervento di Vincenzo Pinto. Senza peli sulla lingua il fotoreporter ha infatti aggiunto al dibattito i problemi legati al digitale (non ha rovinato la vita ai fotografi, ma agli editori: è un problema economico), alla firma sulle foto (magari istituendo un elenco professionale di fotografi: c’è bisogno di visibilità) e al rapporto tra giornali ed editori (alcune fotografie non vengono pubblicate per asservimento all’editore). Come lui, anche noi tutti ci chiediamo dove siano finiti i servizi fotografici che nel passato hanno fatto l’orgoglio della professione, come quelli pubblicati da Epoca. Un incontro difficile, che già dal titolo non lascia speranza: se infatti fino a poco tempo fa si poteva sperare in un punto interrogativo alla fine della frase “Fotoreporter: una professione in via d’estinzione”, oggi quel punto interrogativo è decaduto laconicamente. Ma siamo certi che incontri simili stiano contribuendo a far nascere una nuova e rinata sensibilità, dall’unione tra le varie associazioni di settore (la FPA in primis) all’impegno che Iacopino e l’Ordine dei Giornalisti ha promesso di riservarci.